Il Gallo è vivo. Questa è la sensazione assistendo alla serata che la Casa della carità ha dedicato ieri al ricordo di don Andrea Gallo, il Gallo come lo chiamavano affettuosamente i suoi ragazzi, scomparso il 22 maggio scorso. È un ricordo particolare, primo perché si parla di attualità, del viaggio di papa Francesco in Brasile, i problemi della politica italiana, primarie, partecipazione e così via, tutto visto con gli occhi vispi e ostinati del Gallo; poi perché don Andrea ieri sera “ha messo anche la musica"; Michele e Angelo della comunità di San Benedetto al Porto, sono arrivati alla Casa della carità con la chitarra e hanno suonato le canzoni che a lui chiedeva sempre.
"Noi un dopo Gallo - ci ha raccontato Domenico “Megu” Chionetti, portavoce della comunità - non ce lo immaginavamo: l'ultimo regalo di don Andrea è stata la scelta di passare gli ultimi suoi giorni in comunità e non in ospedale tra tubi, cavi e monitor. Ci siamo tutti raccolti intorno a lui e i legami tra noi, in quei momenti difficili, si sono rinsaldati e adesso ci danno la forza di andare avanti."
Ma come si fa ad andare avanti senza il Gallo? "Si fa - rispondono i ragazzi di San Benedetto. Si fa, vuol dire che dobbiamo diventare tutti quanti don Andrea Gallo, cioè diventare noi quelli che fanno le cose” ci hanno spiegato. Diventare noi quelli che fanno le cose è una meravigliosa presa di coscienza che in questi momenti di crisi diventa la grande lezione che ci lasciano i ragazzi del Gallo.
Tutti quanti dovremmo assumerci in prima persona la responsabilità di un cambiamento, della rottura degli schemi paludati, avere la fantasia per immaginare qualcosa di nuovo e, conservando la decisione e la schiettezza di don Andrea, tenere sempre al centro di tutto l’uomo con la sua diversità che è la ricchezza che il lavoro del Gallo ci mostrava quotidianamente.
L’incontro con i ragazzi di san Benedetto al Porto è stata anche l’occasione per intraprendere un percorso di vicinanza e collaborazione con la comunità fondata da don Andrea, forti del sostegno che papa Francesco testimonia con semplicità a una chiesa povera che parte dalle periferie e coinvolge i giovani con il suo entusiasmo.
